giovedì, 28 Novembre 2024

Siderurgia: dopo 25 anni a Taranto tornerà l’acciaio di Stato

L’impianto siderurgico di Taranto, l’ex Ilva poi passata al colosso internazionale Arcelor Mittal, tornerà progressivamente sotto il controllo diretto dello Stato italiano. Uno scenario che potrebbe aprire nuove possibilità per l’industria manifatturiera nazionale e specialmente per quei comparti, come l’oil&gas e le pipeline, che fanno largo uso di acciaio per lo sviluppo delle loro attività.

L’intesa tra la multinazionale siderurgica e Invitalia, società di investimenti controllata dal Ministero dell’Economie e delle Finanze, prevede l’ingresso dello Stato in Am Investco (l’entità tramite cui Arcelor Mittal controlla lo stabilimento di Taranto) per mezzo di due distinti aumenti di capitale: il primo, che si concretizzerà al verificarsi di alcune condizioni sospensive – la modifica del piano ambientale esistente per tenere conto delle modifiche del nuovo piano industriale, la revoca di tutti i sequestri penali riguardanti lo stabilimento di Taranto e l’assenza di misure restrittive, nell’ambito dei procedimento penali in cui Ilva è imputata, nei confronti di AM InvestCo – sarà di 400 milioni di euro e porterà il MEF al 50% di AM InvestCo.

Il secondo aumento di capitale dovrebbe invece concretizzarsi a maggio 2022: si tratterà di 680 milioni di euro per Invitalia e di 70 milioni per Arcelor Mittal, che a quel punto diventerà un azionista di minoranza del polo siderurgico di Taranto, il più grande d’Europa. Entro il 2025 è poi previsto il raggiungimento della piena occupazione, con l’assorbimento di tutti e 10.700 i dipendenti ex Ilva.

Il mutamento dell’azionariato porterà con se anche l’avvio di un profondo piano di revisione dell’assetto produttivo, con l’obbiettivo di ridurre drasticamente le emissioni. È prevista infatti la creazione di una nuova linea di produzione esterna al perimetro aziendale (DRI) e di un forno elettrico interno allo stabilimento che a regime potrà realizzare 2,6 milioni di tonnellate annue di prodotto. “Circa un terzo della produzione di acciaio – hanno spiegato MEF e MISE – avverrà con emissioni ridotte, grazie all’utilizzo del forno elettrico e di una tecnologia d’avanguardia, il cosiddetto ‘preridotto’, in coerenza con le linee guida del Next Generation EU. La riduzione dell’inquinamento realizzabile con questa tecnologia è infatti del 93% a regime per l’ossido di zolfo, del 90% per la diossina, del 78% per le polveri sottili e per la CO2”.

Come ricorda l’agenzia di stampa Ansa, l’ingresso dello Stato nel capitale della società siderurgica che gestisce lo stabilimento di Taranto costituisce un ritorno al passato: l’Ilva era stata infatti nazionalizzata nel 1905, per essere poi ceduta alla famiglia Riva soltanto nel 1995, durante il periodo delle privatizzazioni di aziende pubbliche. Sono invece del 2012 le vicende ben note che ne hanno portato al commissariamento e alla paralisi, sbloccata almeno parzialmente soltanto nel 2018 con l’avvento di Arcelor Mittal, che tuttavia ha causato poi una seconda impasse, sfociata in questo rientro nel perimetro delle partecipate statali.

La governance del polo pugliese, in conseguenza del primo aumento di capitale, dovrebbe essere paritaria, in considerazione delle suddivisione al 50% delle quote della società, mentre in un secondo momento, dopo che lo Stato italiano salirà oltre la maggioranza assoluta, è probabile che anche gli equilibri gestionali siano destinati a mutare, anche se per ora non sono state fornite precise informazioni a riguardo.

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